Quando un libro nasce da un incontro tra personale e universale. Intervista a Marco Cipriani
Non dormo.
Mi giro e mi rigiro nel letto: è l’una di notte.
Ho caldo. Ho freddo.
… neanche contare le pecore mi aiuta. Sono le due.
Non sarà che mi sono presa quel terribile virus dell’insonnia leggendo Hypnophobia, il romanzo di Marco Cipriani edito da Maxottantottoedizioni?
Ciao Marco raccontami in sintesi la trama del tuo romanzo HYPNOPHOBIA.
Una giovane bibliotecaria dalla doppia personalità e uno studente fuoricorso cinico e annoiato: non hanno niente in comune e con tutta probabilità sono destinati a non incontrarsi mai.
Finché un uomo, un collega di Laura, perdutamente innamorato di lei, non si spara davanti a Max, in un vagone della metropolitana di Roma, in pieno giorno.
Da quel momento i due protagonisti diventano vittime di un’insonnia implacabile: neanche più un’ora, un minuto di sonno. Potrebbe essere un virus, infatti qualcuno li cerca, forse per studiarli. Forse per eliminarli.
Con gli effetti dell’insonnia che si fanno sempre più devastanti, Max e Laura sono costretti a diventare alleati. L’unico modo per salvarsi è scoprire se esiste una cura, un vaccino. Ma come possono farcela, soli contro i potenti nemici che danno loro la caccia?
Hypnophobia è una storia di sopravvivenza, ma allo stesso tempo è la storia di un segreto. Laura e Max ancora non lo sanno, ma in loro c’è qualcosa di così importante da poter cambiare la vita di tutti gli esseri umani.
Come ti è venuta l’idea di una trama così originale?
L’idea centrale di un romanzo è spesso il risultato di due sguardi: uno dedicato al mondo esterno, quello che ci circonda, ed uno rivolto a noi stessi, al nostro mondo interiore. Senza che noi ce ne rendiamo conto, il fuori e il dentro collaborano tra loro, miscelando esperienza diretta e subconscio. È un incontro tra il personale e l’universale.
Non ricordo esattamente quando sia avvenuto questo particolare incontro. Ricordo però che non ho pensato subito di farne una storia. Scrivere non era un intento così forte in me. Ma l’idea persisteva, tornava a galla in continuazione, nei momenti meno attesi. E allora quel nucleo si è evoluto, ci ho costruito attorno una trama, dei personaggi, un contesto narrativo.
Gli incontri di questo tipo generano bisogni. Hypnophobia è stata per me una necessità, più che una volontà.
Il romanzo è stato pubblicato in piena pandemia: come hai affrontato quel periodo di chiusura totale?
Come tutti, credo. Ci siamo aggrappati con ogni forza a quello che avevamo. E allo stesso tempo sognavamo una libertà fisica che fino ad allora davamo per scontata.
La mia fortuna è stata la scrittura. Prima del Covid avevo due lavori e scrivere era un hobby. Ora che quei lavori non esistono più, investiti frontalmente dalla pandemia, e scrivere ed insegnare a scrivere non sono più passioni, ma una professione. Durante il lockdown ho capito davvero cosa significhi fare lo scrittore a tempo pieno. Sarebbe meraviglioso poter vivere solo di quello.
Insomma, sempre di sogni si tratta …
La sfortuna è che il romanzo è nato in un momento in cui non si potevano fare presentazioni con la presenza di un pubblico. Non ha avuto la spinta giusta. Come un neonato che strilla a vuoto in una cameretta dell’ospedale in cui è venuto al mondo. E i genitori che si aggirano per i corridoi vuoti, in cerca di qualcuno che dica: “Ma che bel bambino, le assomiglia un sacco!”
È vero che anche tu soffri di insonnia e dormi pochissimo? come si vocifera sul web.
Purtroppo è vero, è una condizione che mi porto appresso da anni. È spuntata fuori quando ero ragazzo, prima come una specie di dono: meno ore di sonno, più ore di vita. Più libri da leggere, più film da vedere, più musica da ascoltare. Più tempo per pensare, per fare esperienza di sé e del mondo in uno spazio dominato dal silenzio e dall’assenza degli altri. Tutto meraviglioso, finché poi l’insonnia si è impossessata della mia vita, diventando cronica. Il corpo comincia a pagare il conto per tutte quelle ore di mancato riposo.
Quello che hai avuto in più prima, lo devi rendere poi.
Molto di ciò che si trova scritto nel mio romanzo io lo conosco davvero, anche se in forma meno drammatica.
Cosa fai, oltre a scrivere, nella vita?
Insegno scrittura creativa per una scuola online, Come scrivere una grande storia.
Pre-pandemia era una scuola di sceneggiatura e lavoravamo in presenza. Poi, come dicevamo, il Covid ha cambiato tutto. Adesso ho i miei corsi e preparo contenuti per le lezioni di altri docenti.
La scuola ha molto seguito, perché è una realtà particolare, con una sua filosofia riguardo costi e attività collegate ai corsi. Per esempio ci sono lezioni gratuite in cambio di donazioni.
Una cosa grossa, nata dalla sintesi tra professionalità e passione. Sai quando in un ambito lavorativo si dice: siamo come una famiglia? Beh, noi lo siamo davvero, lo eravamo ancora prima che tutto iniziasse… In più, sono story editor, cioè aiuto chi scrive a migliorare la propria storia, dalla struttura alla correzione di bozze.
Insomma tante attività, ma tutte nello stesso ambito.
Programmi per il futuro?
Sto terminando il mio secondo romanzo, una storia che non ha nulla a che vedere con Hypnophobia. Forse il modo giusto di definirlo è romanzo di formazione, perché racconta battaglie, amori, scoperte, illusioni e delusioni di un gruppo di adolescenti romani. Il tutto nella cornice storica e sociale degli anni ottanta, quando queste forme di aggregazione venivano chiamate comitive.
Spero che riesca a illuminare la violenza di un conflitto che avviene in quasi tutte le ragazze e i ragazzi di quell’età, lo scontro tra desiderio di crescere e paura di diventare adulti.
Intanto complimenti per il tuo ipnotico Hypnophobia!
… e mentre aspetto di leggere il tuo prossimo romanzo cerco di farmi un pisolino e recuperare le forze!
Federica Cervini @framing_a_book